Il senso di gratitudine per un ateo

Questa riflessione nasce senza un motivo preciso. Riflettevo su cose sparpagliate, su eventi molto distanti tra loro. Del tipo: oggi pomeriggio è uscito il sole. O ancora: ieri mi sono fatto male al ginocchio e adesso zoppico un po’. Ma anche il ricordo di una persona cara che non c’è più e che ogni tanto torna a trovarmi in sogno. E poi mille altri pensieri su cosa potrebbe essere la mia vita domani se qualcosa andasse storto. Una diagnosi inaspettata. Una macchina che sbanda. Un fulmine in testa.

Ognuna di queste evenienze ha la sua rilevanza statistica: 1000 diagnosi di tumori maligni al giorno, 110 morti in strada al mese, 20 morti fulminati l’anno. Numeri chiari, certo, ma che rimettono a malapena in prospettiva le cose. Perché le statistiche si dimenticano facilmente. E poi che cosa significano 1000, 110 o 20 morti per me? Sono solo numeri.

Bisogna invece fare uno sforzo consapevole per immaginarsi lì, tra le statistiche, numero tra i numeri. E quando lo si fa – e se lo si fa per davvero, guardando Medusa dritta negli occhi – il risultato è sentirsi fragili, precari.

Un sentimento ci pervade e ci dice: “domani tutto potrebbe essere diverso”. Tutto, da un giorno all’altro, potrebbe cambiare. Io potrei perdere tutto quello che oggi mi rende felice e mi definisce. Tutto, anche le cose più banali. Anzi, soprattutto le cose più banali. Come la libertà di alzarmi da questo divano, aprire la porta e scendere le scale. La libertà di vedere il verde di questa piantina di pomodori, di annusarne l’odore. La libertà di sentire una canzone del mio gruppo preferito, la stessa che dice:

La verità è che il più grande di noi non è che un microbo.
Oggi c’è vento.
Oggi si muore.

Come pecore, Fine Before You Came

Hanno ragione. Magari non oggi, ma domani potrebbe esserci vento. E se non domani, tra una settimana. O un anno, dieci, venti. Ma prima o voi il vento arriverà e ci porterà via. Tutti.

Trovo impossibile immaginarmi una vita dopo il vento. Capisco però perché miliardi di persone siano portate a farlo. Hanno paura di guardare la Medusa negli occhi. Non li biasimo per questo, ma li invito a farlo. Li invito a fare i conti con la propria fragilità, con la nostra mortalità. Trovo sia più nobile dar voce alle nostre paure, affrontarle, piuttosto che coprirle con un quadretto di belle speranze.

Quello che sto per dire vale solo per me, non pretendo estenderlo a nessun altro. Dirò dunque che, per me, l’unico modo per sfuggire all’insensatezza della vita è sforzarmi di capirla fino in fondo. Non arriverò mai a una conclusione, a punto di equilibrio, come Sisifo con il suo masso. Ma ogni volta che ritorno a valle, verso il mio di masso, mi accorgo che ho imparato qualcosa. Che quella insensatezza originaria si è schiarita un po’. Che grazie alle scoperte della scienza possiamo dire qualcosa di più sul nostro posto nel mondo – un posto marginale, in periferia, eppure così eccezionale, straordinario, quasi miracoloso.

Ed ecco che la fragilità lascia il posto alla gratitudine. Non c’è motivo per cui io sia al mondo, sono dunque grato di essere al mondo. Mi risuona nelle orecchie una poesia di Borges, così come l’ho sentita nella mia serie preferita, Boris:

Ringraziare voglio il divino
labirinto degli effetti e delle cause
per la diversità delle creature
che compongono questo singolare universo,
per l’amore, che ci fa vedere gli altri
come li vede la divinità,
per la notte, le sue tenebre e la sua astronomia,
per il coraggio e la felicità degli altri,
per la musica, misteriosa forma del tempo.

Estratto dalla “Poesia dei doni”, Jorge Louis Borges

Non c’è nulla di divino nell’universo, nel senso teologico del termine. Ciò non vuol dire che non ci sia spazio per la meraviglia, per la contemplazione, per lo stupore. Perché è proprio in assenza di un senso unico e preordinato – di un Dio insomma – che la vita, per me, vale ancora di più.

Riconoscere “i fiumi segreti e immemorabili che convergono in me”, citando ancora Borges, sapermi coincidenza tra le coincidenze, evento irripetibile e non voluto in un oceano di eventi contingenti, tutto questo basta a riempirmi il cuore di un senso di gratitudine immenso. Gratitudine certamente insignificante nell’universo immenso delle cose, ma al tempo stesso per me vitale, preziosa, essenziale.

Ho immaginato Sisifo felice. E per un momento credo anche di esserlo stato.


Questa riflessione è un frammento mancato di “Contro il nichilismo. La scommessa atea e umanista di Sisifo” (Diogene Multimedia, 2020).

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Crediti per la foto: Diego PH su Unsplash.

2 commenti

  1. Ho scaricato, non ricordo da dove, la tua tesi di laurea su Nietzsche e Camus e ci ho passato un’estate. Mi piacerebbe molto averla in formato e-book; c’è qualche possibilità che un giorno venga pubblicata?

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